STORIE SEMPRE VERDI| 2016-2025 ASD – Sport e Inclusione immigrati – fonte Casale News: “Tre Rose Nere”: sport, solidarietà e comunità in una serata imperdibile a Casale Monferrato Casale Monferrato, 16 Aprile 2025
Quando arrivano a Casale Monferrato, molti portano con sé un’unica certezza: sanno giocare a calcio. Ed è proprio così che alcuni, bussano alle porte della polisportiva di Casale Monferrato. «Tutti ti chiedono di poter entrare in una squadra di calcio», raccontano i protagonisti di un video girato al campo del Ronzone. Ma un giorno qualcuno ha osato proporre loro qualcosa di insolito: «Perché non provate il rugby?»
Difficoltà iniziali: la palla “sbagliata”
«All’inizio si faceva fatica a capirsi – racconta un allenatore – e poi c’era timore: “Il rugby è pericoloso, è uno sport di combattimento”». Alcuni non avevano neppure visto una palla ovale: raggiungevano il campo, guardavano la palla e ripetevano «No, la palla non è questa!». Eppure, quando capirono il gioco di squadra, passarsi la palla l’un l’altro e sostenersi a vicenda, qualcosa cambiò.
La svolta arrivò quando il presidente Paolo Pensa – ex carabiniere e operatore salesiano – accolse con entusiasmo la sfida: «Sì, dobbiamo provare a creare una squadra», disse. Non era solo un discorso sul campo: significava imparare il rispetto delle regole, il valore della disciplina e, soprattutto, la consapevolezza che nessuno vince da solo.
Il rugby come scuola di vita
«Il rugby è lo sport più difficile da praticare», afferma uno dei ragazzi. Ma è proprio nelle difficoltà che il gioco insegna ed appassiona: passare la palla all’indietro, trovare il sostegno dei compagni per non perdere il possesso, correre “in avanti” solo sapendo di poter contare su chi corre dietro di te e ti “copre la spalle”.
«Nel rugby, come nella vita, hai bisogno degli altri per raggiungere la meta», spiega un giocatore. «È una lezione che anche vale fuori dal campo: se ti concentri sul problema, rimane lì. Ma se guardi oltre, insieme ai tuoi compagni, trovi la soluzione».
I viaggi e le ferite nascoste
Ogni atleta de “Le Tre Rose” porta con sé una storia di fuga e dolore. C’è chi arriva dalla Nigeria, attraversando il deserto del Sahara; chi dal Gambia, passando per Senegal e Libia, subendo estorisioni e privazioni. Cosa interessante, per chi arrivava dalla Costa d’Avorio, il rugby era già pratica quotidiana fra i villaggi.
«Lasciare il mio paese è stato come morire e poi arrivati qui a Casale Monferrato, rinascere – racconta un rifugiato del Ghana –. Ho attraversato la Libia, dove mi hanno rapito, ho perso tutto. Arrivare in Italia è stato un miracolo».
Eppure, proprio in questa nuova terra, hanno scoperto un’altro stile di vita e nel rugby una passione: quella che unisce invece di dividere.
Le Tre Rose nascono da un’idea di Paolo Pensa
Il progetto partì nel 2014 come esperienza di nicchia: poche sgambate su una pista di atletica, qualche amichevole forzando i limiti burocratici. All’epoca, nessuno era stato tesserato un gruppo di stranieri dall’Africa, privi di permesso di soggiorno. Eppure, grazie alla determinazione di Paolo Pensa e con l’aiuto di figure influenti all’interno della Federazione Italiana Rugby, in un anno la squadra ottenne tutte le deroghe necessarie per partecipare in Serie C2: un vero e proprio caso unico in Italia.
«Ho presentato 24 giocatori senza un tesserato ufficiale», ricorda Pensa, «e ho visto le obiezioni una dopo l’altra trasformarsi in sostegni».
Ostacoli burocratici e solidarietà federale
Il percorso non è stato mai lineare. Documenti scaduti dei ragazzi, pratiche ferme in tribunale, permessi di soggiorno negati: ogni rifiuto costringeva molti ad lasciare la squadra, mentre i nuovi arrivati prendevano il loro posto. Il lavoro più grande è stato quello di tenere i nervi a posto: farsi capire non solo per le regole tecniche al gioco del Rugby, ma anche dispensare certezze di essere accolti dalla comunità.
Grazie alla Federugby che ha preso a cuore la nostra mizzione, appianando gli ostacoli iniziali, ha tesserato tutti i ragazzi. «Dopo quattro mesi, di confronti costruttivi – racconta il dirigente federale – abbiamo compreso che questo non era un problema da risolvere, ma un’opportunità da cogliere».
Un campione della nazionale azzurra al campo Ronzone di Casale Monferrato
Tra applausi e musica, il campo si è animato intorno a Maxime Mbandà, pilone della Nazionale Italiana Rugby e giocatore di punta delle Zebre di Parma. Maxime ci ha fatto visita, incuriosito dai tanti “hai sentito!” intorno a questa realtà e ha voluto incontrare i ragazzi in allenamento.
«È un grandissimo onore – ha commentato Pensa – avere un’icona del rugby italiano tra le Tre Rose. Il suo gesto è un esempio di solidarietà e un incoraggiamento a non mollare mai».
Mbandà ha trascorso la mattinata con i ragazzi delle Tre Rose, ha posato per i numerosi selfie, ha assistito ai placcaggi e, non ultimo, ha condiviso il pranz, “terzo tempo”, presso il Circolo Ronzonese: perché nel rugby, dopo essersi battuti senza riserve, ci si ritrova tutti insieme in amicizia a tavola.
Un progetto che fa storia
Oggi “Le Tre Rose Rugby” non sono più una squadra di d’improvvisati, ma un modello di resilienza per ogni atleta che si avvicina a questo sport. Dallle dichiarazioni del Coni alla copertura mediatica dell CNN: la storia delle Tre Rose Rugby dal Monferrato ha fatto il giro del mondo.
La vera soddisfazione, a pensarci bene, è osservando la quotidianità così cambiata per questi ragazzi cambiate: giovani che hanno trovato un lavoro, il permesso di soggiorno, una casa e un futuro. Ricordiamo Nelson Mandela, quando diceva «lo sport ha il potere di cambiare il mondo»: in questo caso, tutto è iniziato da un campo di rugby. Le Tre Rose Rugby sono la storia di un sogno diventato realtà, di una comunità che ha desiderato integrarsi, di un piccolo club che ha tenuto la meta più importante: tra popoli tanto diversi culturalmente ma così uguali negli ideali per lo sport.