Dall’Esperienza di Buenos Aires alla Sfida Globale: L’Impegno di Francesco per l’Integrazione degli Immigrati

È profondo il dolore che mi accompagna in queste settimane dalla scomparsa di Sua Santità Papa Francesco. Il suo pontificato ha segnato un’epoca, portando un cambiamento radicale nel cuore della Chiesa cattolica e delineando i contorni di una sfida aperta e difficile. Proveniente da Buenos Aires, una megalopoli con oltre 16 milioni di abitanti, è stato definito il primo pontefice “globale”, segnando una cesura con l’eurocentrismo che aveva caratterizzato a lungo il papato.

Una delle caratteristiche più distintive e centrali del suo papato è stata la sua posizione sull’immigrazione e la sua incrollabile attenzione verso le periferie esistenziali del mondo. Questa visione non era astratta, ma profondamente radicata nella sua esperienza quotidiana come arcivescovo di Buenos Aires. Nelle gigantesche periferie e baraccopoli sovrappopolate, le cosiddette “villas miserias”, Bergoglio ha lavorato a stretto contatto con le comunità più povere e sottoproletarie. Questa esperienza lo ha reso “testimone e anticipatore dello spostamento del baricentro dei problemi verso le periferie”.

Il gesuita Padre Juan Carlos Scannone, suo insegnante, lo ha definito il “papa dei barbari“. Questa definizione si riferisce all’immigrazione del XXI secolo dall’Africa verso l’Europa, paragonata alle invasioni barbariche dell’impero romano di duemila anni fa. Secondo l’analisi di Scannone, Francesco ha cercato di conciliare queste due realtà, l’Europa e i “nuovi barbari”, e di integrare questi ultimi.

La sua visita a Lampedusa viene citata come un chiaro esempio del suo appello all’Unione europea ad agire, anche se si trattava in gran parte di non cristiani. Papa Francesco non vedeva solo i pericoli legati all’immigrazione, ma soprattutto le potenzialità dei “nuovi barbari”, convinto che, come i barbari portarono nuovo sangue e aiutarono Roma a superare la decadenza, così gli extracomunitari possono apportare nuovi valori alla comunità europea. Questa convinzione derivava direttamente dalla sua esperienza a Buenos Aires, dove cercava di integrare gli immigrati latinoamericani (paraguayani, boliviani e peruviani).

Nella capitale argentina, il suo impegno nelle “villas miserias” includeva l’organizzazione di corsi di formazione professionale, classi scolastiche per gli immigrati più recenti e assistenza per coloro che lavoravano senza copertura. Sosteneva fermamente l’integrazione urbana contro lo sradicamento, convinto che le “villas” avessero molto da dare alla città e viceversa. Il suo lavoro pastorale in queste aree mirava a esaltare la pietà popolare e creare una rete di piccole cappelle per la preghiera.

Questa visione di una Chiesa che deve essere un “ospedale da campo dopo una battaglia”, chiamata a “curare le ferite” partendo “dal basso”, si rifletteva potentemente nel suo approccio all’immigrazione. Incontrando capi di Stato latinoamericani, ribadì che “l’idea dell’integrazione non può solo essere economica, ma culturale e religiosa“. Questo approccio era parte integrante del suo “modello Buenos Aires”, che rappresentava l’affermazione della “religione popolare” latinoamericana nel Vaticano e un superamento di una lettura europea e “romana” della Chiesa.

La sua enfasi sulle “periferie”, una parola divenuta di moda e usata continuamente nei vertici ecclesiastici durante il suo pontificato, ha ridefinito le priorità della Chiesa, ponendo l’attenzione sui poveri, gli esclusi e i marginalizzati, tra cui figurano in prima linea gli immigrati.

Mentre la Chiesa elabora il lutto per la sua scomparsa e si prepara al conclave, l’eredità di Papa Francesco nel suo impegno per l’accoglienza, l’integrazione e la valorizzazione della dignità di ogni persona, in particolare degli immigrati e di coloro che vivono ai margini della società, rimane un pilastro fondamentale del suo pontificato e una guida per il futuro. Il suo coraggio nell’affrontare questa sfida globale, spesso incontrando resistenze, testimonia la forza della sua visione radicata nell’esperienza e nell’invito a una Chiesa sempre più vicina a coloro che soffrono e sono in cerca di un futuro.

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