Accogliere i Non Cristiani: L’Universalismo di Francesco sull’immigrazione

Gli immigrati, spesso poverissimi e privi di documenti, che popolano le periferie delle grandi città, sono visti da Francesco non solo per i problemi complessi che portano, ma come portatori di “nuovo sangue e nuovi valori”. Questa prospettiva si estende ben oltre il mero assistenzialismo; egli li considera una “componente essenziale” per la vitalità della Chiesa e un “antidoto alla secolarizzazione e all’indifferenza globalizzata”. La loro religiosità popolare, forgiata spesso in contesti difficili, è vista come una forza che può rivitalizzare le società consolidate.

La sua attenzione agli immigrati include esplicitamente i “non cristiani”. Il suo universalismo si manifesta nella ricerca di unità attraverso il dialogo interreligioso e l’accoglienza. L’integrazione di queste nuove popolazioni, indipendentemente dalla loro fede, non è presentata solo come un dovere etico, ma come una “necessità” per le stesse società consolidate. Rifiutare questa integrazione significa, nella sua visione, rischiare di diventare progressivamente periferici e decadenti.

Un parallelo storico audace viene tracciato tra l’immigrazione contemporanea dall’Africa all’Europa e le invasioni barbariche che interessarono l’Impero Romano. Come allora i “barbari” portarono “nuovo sangue” contribuendo a superare la decadenza di Roma, così oggi gli immigrati possono apportare “nuovi valori alla comunità europea”. Questa visione lo porta ad essere definito il “papa dei barbari”, un pontefice impegnato a favorire l’assimilazione di queste nuove popolazioni, riconoscendo le loro “potenzialità” oltre ai pericoli. La sua visita a Lampedusa è un esempio concreto di come egli equipari queste realtà europee alle “villas miserias” argentine, luoghi di sofferenza ma anche di speranza e resilienza.

Il suo approccio inclusivo e universalistico si riflette nella sua metafora del “poliedro” per descrivere la società globale e la Chiesa stessa. A differenza di una sfera che appiattisce le differenze, il poliedro integra le molteplici sfaccettature, mantenendo l’unità nella diversità. Le periferie, abitate da persone con storie e fedi diverse, sono viste come essenziali per questa figura geometrica, portatrici non solo di problemi ma anche di “nuovo sangue e nuovi valori”.

Integrare queste realtà emergenti, anche quelle che si annidano nel cuore delle capitali consolidate, è per Francesco un’azione pastorale necessaria. La sua “pastorale delle grandi città”, sperimentata a Buenos Aires, si concentra nel raggiungere chi vive in periferie disperate, vedendoli non solo come bisognosi, ma come portatori di ricchezza. L’esempio dei “preti villeros”, che vivono nelle “viscere di queste città invisibili”, incarna questa dedizione a comunità dove spesso vivono immigrati, anche non cristiani, segnalando non solo i problemi ma soprattutto le “potenzialità”.

In conclusione, il messaggio di Papa Francesco sull’immigrazione, inclusa quella dei non cristiani, è un invito radicale all’accoglienza e all’integrazione, fondato su una visione universalistica della Chiesa e del mondo. Egli vede negli immigrati, parte degli “ultimi”, una forza di rinnovamento e speranza, capaci di portare “nuovi valori e nuovo sangue”. Questa non è solo una questione di carità, ma una strategia vitale per una Chiesa e una società che vogliono essere “fonte” di vita e non semplici “specchi” di una realtà in declino. Il suo approccio, forgiato nelle periferie di Buenos Aires, rappresenta uno spostamento del baricentro delle priorità della Chiesa, ponendo l’accoglienza e la cura delle ferite degli ultimi, a prescindere dalla loro fede, al centro della sua missione.

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